Il brigante Antonio Gasbarrone nasce a Sonnino, un piccolo borgo medievale arroccato sulla cima di Monte Sant’Angelo nella catena montuosa degli Ausoni ai confini tra lo Stato Pontificio ed il Regno delle due Sicilie. L’atto di battesimo registrato nell’ insigne collegiata di san Giovanni Battista riporta la data 12 Dicembre 1793, nato da Rocco Gasbarrone e Faustina Ippoliti che gli imposero il nome Antonio, Maria e Domenico, è cresciuto in una famiglia di pastori ed educato alla devozione religiosa per San Rocco e la Madonna delle Grazie. All’età di sette anni seguiva già il padre sulle montagne al pascolo, in famiglia erano possidenti, proprietari di piccoli poderi e mandrie. Ad appena dieci anni Antonio perde il padre e qualche anno dopo viene a mancare anche la madre, così si ritrova ad essere cresciuto dal fratello maggiore Gennaro, le sorelle Settimia e Giustina. Il fratello Gennaro per sfuggire alla chiamata di Napoleone si diede alla macchia divenendo un brigante. Ad aiutare il giovane Antonio con le proprietà della famiglia Gasbarrone c’era Angelo De Paolis marito della sorella Giustina. Antonio ormai uomo s’invaghisce della bella Michelina Rinaldi, ricambiato nei sentimenti, chiede la sua mano alla famiglia, ma tacciati di essere dei poco di buono, a causa di Gennaro, gli viene rifiutata, in preda all’ira commetterà l’atto più atroce della sua vita che lo segnerà per sempre, assassinò il fratello di Michelina davanti ai suoi occhi, nell’uscio della porta di casa, sotto i portici della chiesa di San Michele Arcangelo. Antonio per sfuggire alla giustizia si diede così alla macchia, sulle orme del fratello unendosi alla banda capeggiata da Domenico il Calabrese. Iniziò così la sua vita da brigante che lo portò ad una prima resa nel 1818, concordata con gli altri membri della banda Mosocco con pena un anno di confino dopo un periodo di detenzione a Castel Sant’Angelo in Roma. Così Antonio Gasbarrone e sua moglie Diomira furono spediti a Cento, in Romagna, ma lo spirito libero del brigante non resistette e con il marito della sorella Giustina, che era confinato a Comacchio, tornarono nella propria terra, era il 1819 ed in terra di confine erano in corso eventi drammatici. Lasciò il figlioletto primogenito e la moglie incinta nella speranza di rivederli, ma di li a poco Diomira morì di parto con la creatura che aspettava, poco dopo morì anche il figlio. Le motivazioni che spinsero Gasbarrone a lasciare Cento furono diverse, ma sopratutto il fatto che non avesse un mestiere, la sua più grande qualità era quella di essere un camminatore eccezionale, infatti tornò a Sonnino a piedi attraversando tutto l’Appennino. Le preoccupazioni di Gasbarrone erano rivolte ai parenti deportati a Roma in seguito all’Editto del Cardinal Consalvi. Accusato ingiustamente dell’omicidio della Contessina Marescotti, fu costretto ancora alla macchia, commise altri delitti, aderì alla Massoneria, con il compagno Alessandro Massaroni era sempre in movimento tra Marittima, Campagna ed Abbruzzi, in fuga continua dalle misure repressive verso il brigantaggio. Fu capo banda tra il 1821 ed il 1824, destò l’attenzione dello Stato che si rivelò incapace di controllare il proprio territorio e tutelare i suoi sudditi. L’episodio che diede fama al brigante fu il rapimento del Colonnello Austriaco, principe di casa reale. Un esercito di 40.000 soldati gli dava la caccia, mentre Gasbarrone ed il colonnello erano nascosti in una grotta tra Monte San Biagio e Sonnino fraternizzando. Ancora una volta la vita di Gasbarrone dipese da una donna, la bella Geltrude De Marchis che lo rese meno sospettoso nelle trattative di resa intraprese con Don Pietro Pellegrini, vicario generale di Sezze, che gli propose un’amnistia. Gasbarrone fu ingannato e passò prima otto mesi a Castel Sant’ Angelo, poi venne trasferito un periodo più lungo nella fortezza di Civitavecchia di circa 7 anni, nel 1848 trascorse un breve periodo a Spoleto, infine una lunga prigionia a Civita Castellana, dal 1851 al 1870 , con a seguito sempre la sua banda. Vide la libertà a 77 anni, di cui 45 trascorsi in carcere. Dalle galere ex pontificie venne scarcerato dai piemontesi dopo la caduta di Roma. Nella detenzione al Forte di Civitavecchia Gasbarrone e la sua banda vengono visitati dai passeggeri in transito: pittori,scrittori, giornalisti; a questi raccontano le loro vicende. Lo stesso avviene nella lunga detenzione a Civitacastellana, qui Pietro Masi, brigante-scrittore, compagno di banda e di detenzione scrive la vita di Antonio Gasbarrone, stampato per la prima volta in Francia, scritto dallo stesso Masi in un francese elementare, rivisto da chi lo ha acquistato, ovvero un ufficiale francese, pubblicato dall’editore libraio Dentù nel 1867. Una volta libero Gasbarrone pensò di tornare al suo paese d’origine Sonnino, ma il sindaco in data 3 ottobre 1871 rifiutò a nome della comunità di accoglierlo. Passò gli ultimi anni della sua vita in miseria a Roma, tra i vicoli di Trastevere, i suoi racconti di vita imbarazzavano le autorità che pensarono bene di trasferirlo nella Pia Casa per anziani di Abbiategrasso dove morì nel 1882 ad 89 anni